Un percorso immersivo che intreccia arte contemporanea, ecologia politica e memoria diasporica.
La liana, simbolo di resilienza collettiva e alleanza vitale, guida lo sguardo del visitatore tra installazioni ambientali, materiali organici e tessiture simboliche.
Il lavoro di Binta Diaw attraversa i temi dell’identità afrodiscendente, della resistenza femminile e delle pratiche decoloniali, utilizzando elementi come la terra e i capelli sintetici per costruire narrazioni poetiche di sopravvivenza.
Tra le opere principali, Dïà s p o r a evoca il gesto clandestino delle donne schiavizzate che intrecciavano semi e mappe nei capelli, trasformando il corpo in archivio vivente.
Con Chorus of Soil, la pianta della nave negriera si tramuta in giardino di memoria, da simbolo di oppressione a spazio di rinascita vegetale.
Nei cicli Paysage Corporel e Nature, il corpo diventa paesaggio, aprendo a una lettura eco-femminista che coinvolge percezione, materia e appartenenza.
L’opera esterna Naître au monde, c’est concevoir (vivre) enfin le monde comme relation ispira un’esperienza comunitaria sul modello delle mangrovie, tra radici mobili e intrecci invisibili.
Il video Essere corpo sintetizza le tensioni di un lavoro che attraversa i confini tra biografia, politica e natura, portando lo spettatore in un paesaggio interiore di memoria condivisa.
Una mostra che conferma la ricerca del PAV su una nuova ecologia politica, capace di intrecciare arte, natura e giustizia sociale in un unico organismo narrativo.
Binta Diaw, artista italo-senegalese classe 1995, ha esposto in contesti internazionali come la Biennale di Berlino, la Liverpool Biennial, il MAXXI, il Castello di Rivoli e il Palazzo Grimani.
Il suo lavoro, radicato nelle prospettive afro-diasporiche e intersezionali, affronta migrazione, appartenenza e memoria collettiva con un linguaggio fatto di materia sensibile, corpi intrecciati e paesaggi emotivi.